11.02.2005

la donna architetto





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Considerazioni sulla professione di architetto al femminile di Anna Buzzacchi

Sono una dei molti architetti che lavorano in questa città, nella quale, come sono solita sostenere, vivono più architetti che colombi.Vorrei cercare di spiegare perché ho scelto di fare questa professione e come cerco di esercitarla.Credo di aver capito in questi anni che l'elemento fondamentale che ha ispirato le mie scelte, in particolare nell'ambito del lavoro, è stata la ricerca di situazioni in cui potessi operare con libertà di decisione. Dopo la laurea, dovendomi confrontare con un padre avvocato che aveva della professione una visione assolutamente conforme alla tradizione delle professioni così dette liberali, ho avuto difficoltà a comprendere come potesse essere affrontato l'esercizio se non nella pura logica del rispetto di un'etica professionale fine a se stessa. Rifiutai la professione e, dal momento che, come sostiene anche Virginia Woolf "la libertà intellettuale dipende anche dalle cose materiali", la scelta di procurarmi una possibilità di autonomia economica mi ha portato all'insegnamento, con la falsa convinzione che la scuola offrisse la possibilità di essere più libera sia per la garanzia di uno stipendio, sia per il tempo che lasciava all'impegno politico e sindacale. Non era così, perchè era sicuramente un modo errato di intendere il lavoro nella scuola, sia perchè non era il mio mestiere, quello per cui avevo scelto il mio curriculum di studi, sia, infine, per la sempre più sentita necessità di misurarmi su un terreno con altre variabili. L'esercizio della professione mi è sembrato dopo alcuni anni una vicenda più attraente per ciò che presentava di incognito e, quindi, di 'avventura', nontanto dal punto di vista disciplinare quanto per la molteplicità e complessità di problemi e di rapporti.Durante gli studi nella facoltà di architettura c'erano anche ai miei tempi molte donne, ma solo una minoranza ha scelto di esercitare la professione e pochissime sono riuscite ad emergere e sono conosciute. La tradizione ed il senso comune hanno decretato per noi l'architettura d'interni come terreno più consono. Ci sono però sempre più donne che scelgono la professione di architetto, che sono brave e lavorano e per le quali l'impegnonon è determinato dalla ricerca della fama.Io credo che noi donne siamo più capaci di voler essere brave nel nostro anonimato.Volevo misurarmi su questo terreno. Si poneva il problema di come fare la professione, quali scelte? L'occasione si è presentata con una consulenza per le cooperative di abitazione. Non si parlava naturalmente di 'Architettura', ma più banalmente di edilizia con la sua quotidianità.Ho potuto constatare che la direzione dei lavori costituiva una nicchia in cui poter lavorare. Nella composizione delle parcelle degli architetti la retribuzione della direzione dei lavori è proporzionalmente meno remunerativa rispetto a quella per le competenze progettuali e richiede molto tempo fuori studio. Ciò determinava in quegli anni, in cui si costruiva abbastanza, che l'interesse principale per gli studi professionali fosse per l'incarico di progettazione.Ho trovato subito stimolante applicarmi alla gestione dei cantieri, anche di una certa consistenza, in un ruolo decisamente legato alla figura maschile.Occorre avere fiducia di sé e credere nella propria capacità di applicarsi nel campo scelto.La mia professione è fortemente modellata ed il modello è quello maschile.E' necessario ricercare la possibilità di muoversi liberamente senza abdicare al modello. Le condizioni che mi sono posta nell'esercizio della professione sono quelle di essere libera da 'padrini' e libera da 'padroni'. Per libertà da padroni intendo l'autonomia completa dalle imprese perpoter avere la libertà di agire in cantiere.Come donna, soprattutto qualche anno fa, ma talvolta anche oggi, c'è il problema del rapporto con le maestranze, perchè esiste per molti la difficoltàdi accettare l'interlocutore donna sul lavoro e per di più in posizione di controllo: scattano atteggiamenti di presunzione.E' necessario costruirsi un'autorevolezza. Indispensabile è dimostrare la propria competenza. Per noi donne la competenza è assolutamente prioritaria ed indispensabile perché non ci è perdonato facilmente l'errore.Credo che poi sia importante tenere con fermezza un atteggiamento di collaborazione e di dialogo. Mi è capitato più di una volta, in alcuni cantieri soprattutto in terraferma, di venir chiamata 'geometra'. Conoscendo l'autorevolezza riconosciuta tradizionalmente al geometra nei cantieri, ho ritenuto che quando ciò accadeva fosse segno di accettazionedel mio operato.Occorre trovare un'armonia ed un equilibrio tra la propria parte maschile e quella femminile.Mi sembra che in quest'ambito sarebbe più semplice lasciar prevalere quella maschile perchè il modello è già codificato, ma non credo che ne valga la pena.Negli ultimi dieci anni è molto aumentato il numero di donne che esercita la mia professione. Non le troviamo titolari di studi importanti ma presenti in équipes prevalentemente maschili. Gli incarichi per i lavori pubblici sono in minima parte affidati a donne. Oggi i concorsi ne hanno lasciato emergere in maggior numero,a dimostrazione evidente della serietà di impegno delle donne in questo settore.Nei corridoi degli uffici pubblici, in attesa per seguire l'iter delle pratiche autorizzative ci sono spesso donne giovani; la mia impressione è che la maggior parte abbia ruoli subalterni e non di titolarità.Volendo concludere con una fotografia dell'oggi, rilevo nel mio settoreuna buona presenza di donne, che hanno un ruolo ed ottengono risultati ma quando c'è da 'emergere' raramente troviamo una donna come capofila.

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